Dalla fine del 2020, molti settori industriali sono stati colpiti da una gravissima carenza di microchip. La domanda di questi prodotti ha infatti superato di molto la capacità produttiva mondiale, motivo per cui, le fabbriche che fanno uso di processori, sono state costrette a ridurre i turni e perfino a chiudere momentaneamente. Questa crisi dei chip, che ha avuto inizio nell’industria automobilistica, si è poi diffusa in altri settori produttivi e potrebbe danneggiare la ripresa dalla crisi provocata dalla pandemia Sars Covid-19.
Le cause della crisi dei chip
La difficoltà principale riscontrata è la difficoltà nel reperire i componenti, specialmente i microcontrollori. In questa situazione pesano principalmente due fattori: analizziamoli insieme.
Aumento della domanda di chip con il diffondersi della pandemia
Il primo fattore nasce da un errore di calcolo, in quanto le aziende coinvolte nella produzione a inizio pandemia avevano tagliato le previsioni di vendita. Tutto ciò ha avuto un effetto boomerang, ulteriormente amplificato dalla durata della pandemia e dal ricorso a livello mondiale dello smartworking. La domanda non è di fatto scesa come ci si aspettava, ma è aumentata in maniera esponenziale, tanto è vero che la produzione mondiale non riesce più a stare al passo con una richiesta sempre in crescita. La gente costretta alla distanza fisica dovuta alla diffusione del Covid-19, ha iniziato ad acquistare sempre nuovi device, più moderni, potenti ed efficienti per studiare, lavorare e per l’intrattenimento. Da qui ne è derivata una maggiore richiesta che ha portato all’esaurimento della disponibilità della materia prima, a partire dal settore dell’industria elettronica e raggiungendo a seguire il settore dell’automotive. Questa situazione critica, rischia di scatenare una crisi con conseguenze ben peggiori di quelle generate dal Covid.
Tensioni commerciali tra Cina e America
Un secondo fattore ha origine nelle continue tensioni tra Cina e America. La produzione di microchip è concentrata in alcuni Paesi asiatici (Taiwan, Cina e Corea del Sud) e, secondo il report Bloomberg, vale ben 500 miliardi di dollari. I produttori di microchip, di fronte ad un aumento della domanda, hanno privilegiato la fornitura dei loro mercati, in particolare l’elettronica di largo consumo. A questo si aggiungono la lotta per il controllo dei giacimenti di terre rare che sono alla base per la realizzazione dei semiconduttori, localizzati in Cina e Africa, e le tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti, entrambi intenzionati a liberarsi dalla co-dipendenza. Gli Stati Uniti infatti stanno lavorando al piano denominato “Chips for America Act”, una soluzione che assimila i microchip ad infrastrutture, con l’intento di slegarsi una volta per tutte dall’Asia. La Cina, di conseguenza, sta investendo nella produzione di microchip di qualità, un settore in cui gli Stati Uniti hanno ancora grande vantaggio.
Crisi dei chip, quali conseguenze ha generato?
La crisi mondiale dei microchip ha messo letteralmente in ginocchio soprattutto il settore dell’automotive per mancanza di componenti elettronici: oggi questi elementi rappresentano il cuore di funzionamento di milioni di device elettronici, oltre che delle auto moderne. Alcune case automobilistiche stanno correndo ai ripari: c’è chi torna all’analogico per diversi componenti di alcuni modelli, altri stanno riducendo gli orari lavorativi di oltre 18mila dipendenti. Alcuni case come Land Rover e Jaguar hanno evidenziato un ribasso nella produzione, mentre Volkswagen e Renault hanno annunciato dei ritardi che non potranno essere recuperati nemmeno per la fine del 2021. Si parla infatti di una situazione grave per questi settori, e si pensa che possa durare per tutto il 2022.